Qualche sera fa complice il caldo infernale abbiamo pensato di scegliere un film che non fosse tanto impegnativo, che non aggravasse insomma la situazione climatica. La scelta cade su Manuale d’amore 3. Ricordavo vagamente il primo, una cazzatina ai limiti dell’accettabile ma tutto sommato non aveva generato la solita esigenza di infliggere pene corporali al regista, poi in questo caso il cast altisonante e pure internazionale mi hanno fatto deporre le armi prima ancora di impugnarle.
Il primo episodio con la meglio gioventù attoriale italiana lascia del tutto perplessi, inconsistente e approssimativo. Valeria Solarino è incapace anche di un minimo di disinvoltura, necessita di un corso di dizione e dovrebbe seguire l’esempio della Cucinotta che si dedica alla produzione. La Chiatti sempre bella ma con una bellezza da modella più che da attrice, recitazione non pervenuta. Scamarcio invece zitto zitto riesce ad essere piacevole, credibile e in parte.
Il secondo episodio se è possibile scade ancora di più. Un Carlo Verdone ombra di sé stesso che sembra uno zelig di tutti i suoi personaggi storici con in più quelle ossessioni che ormai sappiamo tutti essere parte dell’uomo prima ancora che del personaggio. La sceneggiatura è così sciatta da risultare fastidiosa.
Il terzo epsisodio raggiunge l’apoteosi… Dopo pochi minuti si prova un senso di vergogna per il regista, per quando si è assunto la responsabilità di portare quel copione a Robert De Niro, che però a quanto pare da bravo marchettaro non ha fatto una piega e ha accettato di buon grado di far parte del baraccone. Ad unire i tre “episodi” un improbabile e fastidioso cupido.
Veniamo al dunque.
Manuale d’amore 3 è uno dei punti più bassi raggiunti dal cinema mondiale, per quel che mi riguarda rappresenta tutto ciò che non va nel nostro paese, il lassismo, il menefreghismo, il lamentarsi del governo quando si alimentano gli stessi ideali.
Inaccettabile il vuoto in cui si muovono personaggi, oscena la “morale” che fa capolino da situazioni che al massimo potrebbero ispirare un’Osteria numero mille.
Allarmante il compiacimento e la faccia tosta del titolo… manuale d’amore.
Non vorrei sembrare una Nanna Moretta dicendo che le parole sono importanti ma cazzo MANUALE D’AMORE… dov’è il manuale e dov’è l’amore?
Poi ci lamentiamo di Berlusconi… quando certo cinema è il suo ritratto.
Tutti pronti a biasimare, giudicare e condannare ma a sbavare per uno stralcio di tetta della Bellucci.
Come ci andiamo volentieri al cinema e come ci sentiamo meglio per esserci svagati dopo una giornata di duro lavoro che di lì a poco svenderemo per aumentare di un paio di pollici lo schermo intorno al quale abbiamo arredato il salotto.
Che siamo in una situazione di merda lo sappiamo tutti e non ci serve anche un cinema che sia solo riflesso e oltretutto sostegno ad un edonismo vacuo e patetico.
Almeno Leni Riefenstahl era schierata apertamente qui invece abbiamo una celebrazione dello specchio dei tempi subdola e corrotta. Il nulla fatto passare per qualcosaltro, sponsorizzato da un cast altisonante e connivente che senza colpo ferire passa da perorare la foresta amazzonica o il telefono azzurro a fare da testimonial di un cinema vuoto e ridotto a format. Da vergognarsi.
Si recuperi Grand Hotel Grand Hotel il classico dei classici, un film corale diretto alla perfezione in cui ogni scena è un contraltare di un'altra. E stiamo parlando del 1932...