sabato 28 giugno 2025

Il Maestro e Margherita

Cinema Quattro fontane, giovedì 26 giugno 2025


 Arriviamo al cinema.
Alessandro si rivolge alla casssiera: "Vorrei due biglietti per..." ma io lo interrompo e dico "No.... non dirlo, vediamo se indovina!".
La cassiera non si degna nemmeno di studiarci, alza a malapena gli occhi e fa: "Il Maestro e Margherita?".
Ebbene sì e oltretutto in lingua originale, anzi in quattro lingue originali, russo, tedesco, latino e aramaico.

Non ho accettato a cuor leggero di andarlo a vedere, temevo l'usuale mattonata che spesso ci tocca quando ci imbarchiamo in qualcosa di dichiaratamente "d'essai", poi non avevo avuto nemmeno tempo di informarmi e mi ero fatta l'idea di un film in bianco e nero dai forti contrasti e con silenzi esasperanti.
Mi ero pure portata avanti col lavoro della recensione immaginando che per l'evento dell'uscita in sala, come gadget, consegnassero ai coraggiosi avventori due laterizi refrattari per, appunto, percuotrersi i testicoli. Va da sé che confesso la mia ignoranza, il libro non l'ho letto e nonostante questo avevo pure un'idea strampalata della storia. 

Bastano pochi fotogrammi per capire che il fascino, lo spessore e la densità delle immagini saranno solo una parte di un affascinante viaggio fantasmagorico. 

La ricostruzione di una Mosca degli anni Trenta mi catapulta in un'altra dimensione e sarà solo una delle tante che, in quasi tre ore di durata, si avvicenderanno. Da qui in poi non parlerò più di film ma di opera, un'opera che poteva essere pesantissima e che invece  si muove agilmente in un affascinante labirinto, capace di sorprendere ad ogni svolta.
Visivamente potente, ricca di un immaginario del tutto inconsueto, Il Maestro e Margherita ha un respiro universale e archetipico.

La storia per certi versi ha molte attinenze con la vicenda personale di Bulgakov, quella del suo paese, del comunismo e della censura che ha subìto ma come la mettiamo con i rimandi alla religione e alle dimensioni altre? E che gran guazzabuglio di linee narrative che si intersecano, si sovrappongono e si confondono come un balletto perfetto ma straniante. Quasi tre ore di immersione in un mondo sconosciuto di anime e personaggi e pure un gatto parlante. Nostalgico, dolente, grottesco, onirico, sentimentale, non risparmia nulla, anche se su tutto vince l'eterno struggimento degli amanti separati ingiustamente, come Candy Candy e Terence o gli indimenticabili Dominique e Gilles de' L'Amore e il Diavolo.

Usciamo dalla sala incantati per tanta bellezza, per la "sostanza" di cui ci siamo nutriti avidamente, una meravigliosa combinazione di letteratura e cinema che si fondono per trascendere il tempo e la realtà.

Ovviamente non si tratta di un film per tutti (in sala eravamo quattro gatti) ma si tratta definitivamente della visione (in tutti i sensi e significati) dell'anno!

Se poi pensate che sia troppo allora optate per il raffinatissimo Sotto le foglie di Francois Ozon. Un film che è un gioiello di sceneggiatura e dove la verità giace in ciò che non viene detto e che non viene mostrato.

Se poi anche Ozon vi sembra too much, che vi devo dire? C'è sempre il secondo episodio di Mission Impossible che è un bel vedere e intrattiene alla grande.

Però,  veramente, ogni tanto bisognerebbe concedersi il tempo e la volentà di farsi un regalo di qualità e il Maestro e Margherita è decisamente uno di quelli.

Abbinamento con La Menagere in via Mario de' Fiori, dove ogni dettaglio è ispirato dalla bellezza. un ristorante ma anche sala da tè, con fiori, oggetti e tessuti per una sosta raffinatissima in centro.

 



mercoledì 15 gennaio 2025

Tofu in Japan

Domenica 12 gennaio 2025, spettacolo delle 18.30

Cinema Quattro Fontane, nell'omonima via.

Sala 4, che io chiamo "l'autobus", per dimensioni e disposizione.

 

 

 

Apro questo 2025 al cinema con il bel Tofu in Japan.

A me il tofu fa cagare, la soia in particolare fa cagare, però dopo questo film quasi quasi gli concedo un'altra chance.
Dimenticate la computer grafica, gli effetti speciali e i ritmi roboanti, qui ogni parola ne sottotace altre cento, è un raffinato lavoro di ricamo bianco su bianco.
La delicatezza di quest'opera avrebbe bisogno di neologisimi consoni allo spessore etereo ma stratificato che appartiene ai sentimenti più puri.
In questo tofu c'è l'amicizia, l'affetto, il mistero di cosa faccia nascere un'amore, la famiglia, la dedizione al lavoro, la storia.... La storia di come il Giappone e giapponesi siano ancora oppressi dal peso della bomba atomica e di come abbia lasciato intere generazioni orfane e malate.
Ed è tutto modellato come un sussurro, con pennellate di rispetto, riserbo e timidezza, classiche della cultura giapponese.
Il tofu diventa l'emblema dell'unicità di ogni essere umano e di come l'impegno, la costanza e la passione possano riversarsi anche in un insipido formaggio.

I protagonisti, un padre e una figlia divorziata, hanno un piccolo laboratorio dove ogni giorno si compie il rito dell'estrazione del latte dai fagioli di soia.  Con pazienza si aggiunge il nigiri per la cagliata e poi, con gesti che hanno un sapore millenario, producono le due varietà di formaggio, solido e cremoso.
Come tutto ciò che riguarda la produzione di cibo, l'aspetto "esoterico" è il principio che rende speciale una preparazione...
Del resto, come dico sempre, "una ricetta è uno spartito musicale, dipende da chi suona".
Ne è consapevole il signor Takano che non vuole lasciare a nessun altro il compito della preparazione, relegando la figlia ad un ruolo marginale della piccola azienda.
L'incontro casuale di una donna gentile per lui e di un uomo con cui condividere gli interessi per lei, dopo qualche ostacolo, cambierà le loro vite e li porterà finalmente ad aprirsi alla gratitudine e alla vita stessa.

Il buon tofu che da il titolo al film, già difficile da trovare in Japan (figuriamoci qui in Italia), resta una chimera, quindi ci si goda il film senza l'aspettativa di ritrovare quella magia che invece ci ha concesso quest visione.
 
 

venerdì 15 novembre 2024

The substance

Cinema Lux, sala 7, spettacolo delle 21.00 (mi pare)
Si segnalano in sala stronze che parlano tutto il tempo e con il cellulare acceso

                  SPOILER ALERT  SPOILER ALERT  SPOILER ALERT LER ALERT SPOI

Negli anni 70 molti bambini furono traumatizzati dai film di fantascienza trasmessi in televisione, di mattina, durante la Fiera di Roma.

Io sono una di loro.
Fu alora che m'imbattei ne Il pianeta proibito, restando profondamente turbata dai mostri dell'Id, la manifestazione fisica dell'inconscio del Dottor Morbius.

Quanti anni avrò avuto? Non più di nove o dieci e i mostri dell'Id rimasero scolpiti nella mia testa come la cosa più spaventosa che avessi mai visto.

Un rumore nella notte?
Immediatamente si materializzava nel mio schermo mentale il mostro dell'Id, uno e in bianco e nero, perché all'epoca non avevamo ancora il televisore a colori.
Percepivo un'ombra dietro di me?
Era sempre il mostro dell'Id in agguato!
 
Con il passare del tempo dimenticai il film, la trama e pure il titolo ma il mostro era sempre pronto a rispuntare ogni volta che provavo paura per qualcosa.
Quando rividi Il pianeta proibito, da adulta, la visione mi lasciò talmente indifferente, che quasi rimasi delusa.
Si formarono quindi in me due sensazioni totalmente distinte, la prima, quella agghiacciante di quando ero piccola e la seconda, legata alla visione da grande, che non faceva alcuna presa sul mio immaginario.
Questo fatto era talmente eclatante che spesso mi divertivo  a sperimentare il passaggio dal presente al passato, misurando la differenza tra le emozioni.

Tutto questo per dire che The substance è prima di tutto una spietata e lucida analisi sulla mente aberrata dell'essere umano, vittima del proprio mostro dell'Id!

Demi Moore si fece conoscere con Ghost, sia lei che il film ebbero un successo planetario.
Subito dopo però cominciò a entrare in fissa con la chirurgia estetica e poco ci mancò che non si riducesse come Ornella Vanoni oggi 
Il mio parrucchiere dice che Ornella Vanoni, oggi, ha un sex-appeal incredibile e quindi, come al solito, sono io a non capire un cazzo.
Comunque Demi dopo parecchi scempi perpetrati su di lei medesima ha trovato finalmente uno bravo e alla fine, dai sì, si sta mantenendo sicuramente meglio di Madonna o della sexy Ornella Vanoni.
 
Colpo di genio della regista, sceglierla per interpretare la protagonista di The substance in un mix audace di realtà e finzione.

Demi è una showgirl sul Viale del tramonto ma senza Erich von Stroheim a venerarla e a stirarle i vestiti.
Viene licenziata e la sua vita sembra non avere più senso alcuno, fino a che viene contattata anonimamente da un'azienda che ha messo a punto una sostanza capace di generare una sua doppelganger, giovane e bella.
Si dovranno però spartire l'esistenza su questo pianeta, una settimana ciascuna, senza eccezioni.

La nuova Demi è Margaret Qualley (la figlia di Andy MacDowell, la protagonista di Quattro matrimoni e un funerale).
Margaret scala il successo in un nanosecondo e ci prende gusto.
Finirà in un Maracanà!
The substance è un film tutto al femminile ma di certo non femminista. È un orrido ritratto di come la donna, ancora schiava di un'immagine del tutto effimera e superficiale, si nutra di un vuoto cosmico, capace di risucchiare ogni cosa.
E' una fotografia sul The wall che ci costruiamo intorno, giorno dopo giorno, lasciando spazio ad una psiche malata e profondamente immatura, capace di dirigersi esclusivamente all'autodistruzione.
Dopo un inizio super patinato, dove ogni inquadratura ricerca una citazione e una simmetria quasi ossessiva, si palesano le prime avvisaglie horror che, in un crescendo senza freni, si appropriano dell'opera rivendicandone la matrice splatter.
La conclusione si svoge in un bagno di sangue, quasi  una cisterna di liquido rosso, spruzzata senza interruzione da una mostruosa idrovora di carne impazzita
Non ci viene risparmiato nulla, denti, bocche deformi e corpi agglomerati in odor di The society ma siamo anche dalle parti del più recente Il colore venuto dallo spazio.
Piacerà da impazzire a feticisti e ai pipparoli dell'horror/splatter.
Secondo me e avrebbe funzionato anche senza lo scempio finale ma ci sta la necessità di scuotere lo spettatore omologato.
La sceneggiatura oro che cola se sono tre pagine, i dialoghi sono ridotti al minimo essenziale.
Si gioca tutto sulle due protagoniste, entrambe bravissime, che si prestano ad  un gioco al massacro, senza filtri e di cui colpisce una solitudine lacerante.
In The Substance non c'è spazio per null'altro che non sia il "successo", al punto di preferire vivere letteralmente per interposta persona.

Sicuramente The substance lascia il segno, forse non entrerà nella storia del Cinema ma se non avete particolari problemi con lo splatter, vi piacerà. Dentro c'è parecchio, il grottesco, il patinato, la fiaba in stile fratelli Grimm, la fantascienza, l'horror, la satira e molta realtà contemporanea...
Cosa sia poi la substance o chi la produce e perché, non è dato saperlo.
Ma francamente nessuno se lo chiede.


Ne approfitto per fare una minirecensione di una serie Tv che mi è piaciuta moltissimo anche se ho dovuto superare il fastidio dell'animazione rotoscopica. Ma insomma se sono riuscita ad andare oltre io, lo potete fare pure voi. Una bellissima storia che vi porterà ai confini dell'Universo e della mente umana, che alla fine sono un po' la stessa cosa, passando per tutta una serie di sentimenti e... Vabbè, non la voglio raccontare, guardatela! La fanno su Amaozn Prime.

venerdì 1 novembre 2024

Quattro figlie

31 ottobre 2024
Cinema Delle Province, in Via delle Province, spettacolo delle 20.30



Una storia, un documentario, un film, tutto nello stesso corpo messo in scena da una regista in stato di grazia. Siamo di fronte a una visione affascinenate dove la verità è rappresentata con tutte le sue contraddizioni e l'incapacità di sottrarsi da una catena di tradizioni che vanno al di là dell'estremismo religioso.
Il vero problema è la famiglia, luogo di orrore che troppo spesso assurge a ruolo di insindacabile guida e riferimento. Olfa, una donna tunisina, ha quattro figlie e due di loro si uniscono alla fascia estremista della lotta religiosa. La madre è disperata e sofferente per averle perse (sono state arrestate e imprigionate in Libia) ma è ben lontana dal guardare alle sue "colpe".
Le quattro ragazze hanno vissuto in un contesto di povertà, violenza, abusi e solitudine ed è in questa realtà che maturano un forte legame tra loro ma la necessità di trovare un punto fermo, un centro di gravità permanente, intorno al quale far ruotare le loro vite.
Siamo nel presente, tutto si svolge negli ultimi venta'anni, le cose stanno cambiando, i cellulari, la globalizzazione e le idee penetrano implacabilmente un tessuto sociale fino a qual momento chiuso e mai messo in discussione.
La storia è presentata magnificamente dalle reali protagoniste e dalle attrici, in una mescolanza continua di realtà e finzione, dove il dolore si sovrappone e si misura con le emozioni delle interpreti.
Interessante e metaforicissima l'idea di far girare le tre parti maschili allo stesso attore, mentre per Olfa c'è un'attrice, oltre che lei stessa, in un continuo confronto a due voci.

Un film che se concepito in un paese occidentale avrebbe non dico cambiato la storia del cinema ma avrebbe avuto ben altro impatto.
A riproporlo qui a Roma è Tonino, premiato a Venezia come miglior esercente. Da anni fa un lavoro pazzesco al cinema Delle Province dell'omonima via a Roma, proiettando ciò che resta del concetto di "d'essai".
Il Delle province, oltre a mantenere prezzi popolari (biglietti tra i 4 e i 5 euro), propone incontri con registi e attori, e restituisce, al pubblico che decide di scoprirla, un'idea di cinema con "C" maiuscola.
E' quel cinema che ti fa pensare, che ti commuove, ti fa incazzare e magari può anche non piacerti ma ti lascia quell'ineffabile qualcosa che ti da la possibilità di ragionare, di pensare.

A tutti coloro che si lamentano che al cinema ci sono solo i film della Marvel e poi passano la serata a scegliere cosa vedere su Netflix, sappiate che c'è qualcuno che, con coraggio e passione,  si industria a portare in sala dei film che raccontano storie diverse che espandono i confini della visione, dallo schermo alla vita com'è e a come potrebbe essere.

Per questa scoperta devo ringraziare Emanuela (ve la ricordate? Colei che definì Daniel Craig una manovale rumeno) che è sempre foriera di cose interessanti e valide!

Qualora non fosse chiaro l'abbinamento è con il cinema delle Province, uno di quei casi in cui possiamo dire che The media is the message ha un'accezione più che positiva!
Tonino vi accoglierà e se volete vi invierà via whatsapp la programmazione!
Veramente non ci sono scuse!
Cinema delle Province
Via delle Province, 41
Telefono 06 4423 6021

domenica 27 ottobre 2024

Megalopolis

Venerdì 25 ottobre 2024, Cinema Barberini ore 19.00   

 
Mi sono presa un paio di giorni prima di dire la mia su Megalopolis, perché il primo pensiero. appena uscita dal cinema. è stato: ammazza che boiata.

Il termine "boiata" era molto usato da mio padre per definire ciò che per lui era una boiata e in questo caso ci sta tutto.

Per puro caso becchiamo la versione in lingua originale. 
Nella mia folle ingenuità penso che ciò mi eviterà il consueto milkshake a base di cojoni per il pessimo doppiaggio.
Sono felice! Almeno questa volta Emilio Cigoli non si rivolterà nella tomba.
E invece no, appare subito evidente che le voci originali sono pompose e suonano false, quindi il frullatore impietosamente si aziona automaticamente sul programma "Milkshake".
Scopro con orrore come il problema infatti sia la sceneggiatura, una fastidiosa accozzaglia di citazioni "colte".
Citazioni colte, ahimè.
Le stesse frasette che girano su Facebook, attribuite di volta in volta a Oscar Wild, anzi no a Jim Morrison, anzi no a Orazio, anzi no a Stocazzio.
Nel conformarmi alla ridondanza megalopolisiana sottolineao che "stocazzio" non è il solito refuso bensì una licenza poetica per rimeggiar con Orazio.
Nel lontano futuro non vi è stato alcun progresso, né materiale né spirituale.
Nonostante la vicenda si svolga tra più di mille anni, i titoli dei giornali citano Hitchcock e ci sono emuli di Elvis.
La moda è ancora saldamente legata ad un'estetica che più pacchiana non si può, Versace.
New York ora si chiama New Rome ma i poveracci restano sempre gli stessi, pure tra un millennio, sono un esercito di marionette che si fanno trascinare da chi urla più forte false promesse.
Improvvisamente il milkshake di cojoni evapora in una miriade di lucine paillettose e, per tutte le due ore e mezza di durata, c'è sempre questa luce che veleggia, senza decidersi, in una dimensione tra l'onirico, la psichedelia, il me so' rincojonito e l'energia che è vibrazione e sostanza di tutte le cose.
Quel che è...
Curiosamente dopo che il milkshake di cojoni si è vaporizzato in queste golden bubbles che restano sospese nell'aria, il tempo si ferma.
Penso che Megalopolis non finirà mai.
Megalopolis diventa il mio inferno personale, in cui qualcosa che mi piace, il cinema e la fantascienza, mi si rivoltano contro in un infinito e inutile fastidio visivo e auditivo, nonchè svaporamento luccicante di un milkshakecojoni.
Il problema è "Megalon", una sostanza che si potrebbe definire "vivente", con cui Adam Driver vorrebbe costruire la città del futuro, in un' ottica "Se il popolo non ha il pane, che mangi brioche!".
Megalon sì megalon no, corruzione, prevaricazione, accuse, filmati contraffatti, comizi a base di Shakeaspeare, lotte per eredità miliardarie (e le banche pure loro ci sono ancora)...
Nonostante il tempo sia tornato a scorrere, ci si trova in questa strana situazione in cui i cojoni esistono in uno stato quantistico, sia come milkshake che come  una miriade di LED natalizi che si riflettono su ogni fotogramma della pellicola.
Tutto collassa quando vedo Lawrence Fishburne, indimenticabile Morpheus, in una micro particina del cazzo, l'autista di Adam Driver.
E passi pure la micro particina, ma perché gli hanno fatto le sopracciglia ad ali di gabbiano come un coatto di periferia?
Dunque è questa la visione coppoliana?
Tra mille anni ci saranno ancora le sopracciglia ad ali di gabbiano?
Che altro vi devo dire?
Che ogni scena è didascalicamente introdotta da un'introduzione esplicativa incisa su una targa di marmo?
Che ora hanno tutti nomi latini?
Che comunque finisce tutto a tarallucci e vino?
O forse dovrei parlare dell'inutile perfermance di Dustin Hoffman o John Voight?
Una parata di personaggi che sembrano gettati lì a caso.
Aggiungerei anche una menzione negativa per la visione della città del futuro... Roba già vista e rivista in qualsiasi episodio di Star Trek quando sbarcano nel solito pianeta alieno, così come le strade che scorrono come scale mobili, prese pari pari dal ciclo della Fondaione di Asimov.
La fantascienza non è da queste parti, è solo un presupposto usato a scopo ingannevole nei confronti di chi aspettava un nuovo grande film dopo Matrix.
Sì, dopo Matrix c'è stato Interstellar, per carità, bello ma il solito tecnicismo di Nolan che non ti fa sognare e io direi che sarebbe pure arrivato il momento di un nuovo capolavoro.
Ora a me dispiace molto bocciare Magalopolis, vorrei salvare qualcosa di questo calderone luccicoso ma proprio non ci riesco, forse mi sono piaciute solo le statue che si muovono di vita propria (anche questo preso da un racconto cyberpunk).
Mi dispiace molto per Francis Ford Coppola che pare si sia ridotto sul lastrico pe' sto baraccone, ma almeno posso dire di essere andata al cinema e aver pagato il biglietto.
Anzi nemmeno quello, perché il biglietto me l'ha pagato Alessandro (me lo appunto così magari la prossima volta faccio io).
Comunque il mio consiglio è di andare a vederlo questo Megalopolis, almeno per aiutare Francis a rientrare dell'investimento, tipo il carrello della spesa sospesa al supermercato, dove lasciano i pacchi di pasta e i barattoli di passata di pomodoro.
Concludo dicendo che oggi, al telefono con mio fratello, gli dicevo:
- ... Che poi a me Adam Driver proprio non mi piace, lo trovo proprio brutto... Solo che non lo posso dire perché ormai è body shaming...
- Ma che te frega scusa... Tu mica scrivi per prendere i like!
- No certo e poi Adam Driver piace tantissimo, solo che a me no!
- Ma scrivi! Lo devi scrivere!
- Va bene! Scriverò!

Abbinamento con una serie che mi ha conquistato, come non capitava da tempo. The devil's hour, di cui sono uscite due stagioni e né uscirà una terza.
Non si tratta di un horror ma di una splendida e interessante visione sulla natura dello spazio, del tempo e della realtà. Pure Francis dovrebbe farcisi un giro...

mercoledì 1 maggio 2024

Il gusto delle cose

  • Mercoledì 24 aprile 2024
  • Anteprima mattutina al Cinema Quattro Fontane dell'omonima via.

 

 

Il gusto delle cose, titolo così così de La passion de Dodin Bouffant, spodesta senza indugio Il pranzo di Babette dall'Olimpo dei film sull'arte e il piacere del cibo e del vino.
Per te, lettore pigro e che raggungi il massimo godimento con l'hamburger di MacDOnald's, ti anticipo che puoi anche risparmiarti le prossime righe...
Proceda solo chi ama il buon bere e il buon mangiare, proceda senza indugio!
Vai al cinema che una tale visione merita un grande schermo (no, non il grosso televisore di casa),
Forse non ti interesserà la splendida storia tra i due protagonisti, Juliette Binoche e Benoit Magimel, un tempo insieme anche nella vita, ma non potrai fare a meno di restare sbalordito dalla magnificienza e lo splendore delle preparazioni. Ogni sfrigolio è pura poesia... E pure se pensi di frequentare buoni ristoranti, uscirai dalla sala con la sensazione che ciò che hai mangiato fino a ieri sia una sbobba da carcerato, del terzo mondo.

Se poi invece sei avvezzo a cotante prelibatezze, buon per te,  non potrai che gioire dei dettagli e della cura di ogni particolare.
Per tutta la vita banalmente hai pensato che la perfezione non esistesse e dopo questa visione potresti perfino ricrederti.

Trần Anh Hùng, il regista vietnamita de Il profumo della papaya verde, dipinge un quadro di Dodin Bouffant talmente vero (magia del cinema) da lasciarci pensare che sia esistito veramente... Invece è solo il personaggio di una novella, ispirato a Brillat-Savarin.
Il film si svolge principalmente tra una splendida cucina di campagna e una sala da pranzo da togliere il fiato. Ogni inquadratura è appunto un quadro di rara bellezza.
Se hai occhi per vedere, ogni particolare ti riserverà un'emozione, la decorazione dei piatti, le pentole di rame, i fiori di campo ovunque, l'abbigliamento discreto ma dai materiali eccezionali.

Penseresti che Dodin Bouffant sia un cuoco e che abbia un ristorante, invece no è solo  decisamente molto ricco e passa la sua vita ad organizzare pranzi e cene con un cenacolo di intenditori come lui. Ogni sorso di un vino pregiato racconta loro una storia meglio di un buon libro, ogni boccone di cibo li rapisce e li porta lontano. Principale artefice di tutto questo ben di Dio è Eugénie, la sempre intensa Juliette Binoche che già si era prestata con delicatezza al più commerciale Chocolat.
Da molti anni è non solo la cuoca ma anche l'amante del padrone di casa e non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua libertà, finché una cena memorabile preparata solo per lei da Dodin Bouffant in persona non la convincerà a sposarlo. Ma Il gusto delle cose è un film di altri tempi, in cui sguardi e non detti sovrastano i pochi dialoghi, facendoci riassaporare un'epoca in cui l'acqua si prendeva alla fonte e non esisteva Instagram.

Un inno straordinario alla cultura francese, con immagini capaci di risvegliare autentici  piaceri, un atto d'amore nei confronti di una cucina che è vera e propria arte, capace di trascendere la materia, per restituire ai sensi un'esperienza che ti mette in contatto con mondi altri.

Piccola curiosità... La consulenza per la preparazione dei piatti è stata affidata a Pierre Gragnaire, celebre chef francese, che ha avuto anche una piccola parte nel film.

Il gusto delle cose esce il 9 maggio. Non perdetevelo!

Abbinamento con il bel vivaio D'Antoni Garden, in via delle Vigne Nuove, 246.
Un tripudio di colori e una varietà di piante veramente strepitosa in ogni stagione!

 


mercoledì 13 dicembre 2023

La chimera

 


Venerdì 8 dicembre 2023 Cinema Eden di Piazza Cola di Rienzo, spettacolo delle 20.45
 
Mi trovo quasi in difficoltà a scrivere de La chimera, un'opera delicata, profonda ma con una levità equiparabile solo da una farfalla, guai a toccarle le ali.
Non so se ho gli strumenti per abbracciare quelle sfumature di sensibilità inusitata, che intessono la trama, nel senso di fili.
Fili da tirare...
La storia si muove in punta di piedi intorno a un inglese tormentato e con scarso senso dell'igiene.
Però bello e probabilmente lo sarà ancora di più tra qualche anno e qualche chilo in più.
Arthur ha un dono, che è pure una maledizione, un vortice che lo divora.
Vive del dono e del ricordo, quello di una ragazza con due grandi occhi azzurri, con cui era felice.
Li vediamo giovani e innamorati nei sogni di lui ma non sappiamo lei ora dove sia. C'è stata una separazione ma ne aspettiamo il ritorno...
E poi c'è tutta la banda, un cast pasoliniano che a momenti si muove veloce, come in un film dei fratelli Marx.
C'è Isabella Rossellini, sempre splendida, che anima un personaggio struggente e divertente, e c'è "la scopetta", la sua domestica che vuole imparare l'arte del canto.
E poi ci sono i luoghi... Invece dell'accattivante scenario che potrebbero essere le torri di Tarquinia c'è una Tuscia anonima e un po' sgangherata ma che sotto pochi centimetri di terra nasconde i misteri e i tesori della civiltà etrusca.
Arthur e i suoi compagni vivono trafugando reperti, fuggendo da carabinieri macchiettistici, ricettando e vivendo alla giornata, in attesa di un colpo grosso che li possa fare ricchi a tutti.
Fino a che  "la scopetta", con il suo fare spontaneo e appassionato, assistendo al ritrovamento di un luogo sacro, resta sconvolta, gridando tutto il suo orrore per la profanazione di questi luoghi che non sono fatti per occhi viventi.
L'unico che resta colpito è Arthur, una realizzazione che sembra rimettere in discussione tutta la sua vita e i suoi principi...
Basta, non dico altro sull'intreccio che tocca tante piccole storie sottotraccia. Dico però che ho adorato i cantastorie che tramutano in ballate le vicende di questi antieroi ma più di tutto ho adorato come tutti i pezzi vadano al  posto dove dovrebbero essere, sul fondo di un lago ma anche sotto la terra.
Alice Rorwacher riesce a incantare anche così, con un lieto fine di una tristezza infinita...
Sulla colonna sonoradei titoli finali Gli uccelli di Battiato...