mercoledì 1 febbraio 2012

Enter the void


A metà degli anni 70 la pubblicità di Vecchia Romagna Etichetta Nera imperversava sugli schermi della televisione. La colonna sonora dello spot era Romance n. 2 opera 50 di Ludwig Van Beethoven eseguita da James Last.
Per noi bambini Beethoven era una pubblicità e ricordo ancora mio fratello entrare nel negozio di dischi vicino casa e chiedere "che ce l'ha il 45 giri di Vecchia Romagna?".
Gaspar Noè citando Il libro Tibetano dei morti più o meno fa la stessa operazione riducendo un testo millenario dalla potenza starordinaria e dalle implicazioni vitali ad una scorribanda visuale di una monotonia disarmante che magari fosse James Last.
Noè prosciuga il significato del testo, ritaglia una figurina dal senso finale e si bea con riprese dall'alto e vorticosi risucchi in cavità o luci. Al quarto risucchio comincia a sorgere il dubbio che il film sarà tutto così, al decimo, oltre ad essersi fracassati le palle, se ne ha la tragica certezza.
Cosa resta del Libro Tibetano dei morti? Praticamente nulla. Che in confronto James Last aveva reso un omaggio a Beethoven da inserire nella critica ragionata al Maestro.
Autoreferenzialità ai tempi di Internet... Il "regista" definisce il suo Enter the void un "melodramma psichedelico"(la definizione evidenzia l'ignoranza di entrambi i termini) e son fremiti di piacere per il pubblico boccalone.
La storia è presto detta anche qui abbiamo un fratello e una sorella sbandati come in Shame.
Lui drogato e spacciatore viene ammazzato quasi subito, di lei invece, spogliallerista e zoccola, assistiamo a vicende di ordinario squallore.
Tutto il film sarà un seguire l'anima dei li mortacci del morto che vagherà senza soluzione di continuità tra posti e persone a cui era legato da vivo, fino ad un improbabile reincarnazione nel figlio della sorella zoccola.
Ora io mi sento costretta a pormi la seguente domanda: ma da quando un film è bello perché la macchina da presa svolazza e si avvita? Da quando lo spregiudicato uso del mezzo tecnico vale più di una storia e delle emozioni suscitate? Da quando l'abuso del rallentatore provoca l'orgasmo?
Non mi do la risposta per non cadere in espedienti di marzulliana memoria ma mi limito a suggerire a Gaspar Noè di limitarsi a videoclip e corti anni 80 e solo perché oggi mi sento generosa.
A tutti coloro che hanno osannato questo filmaccio consiglio invece di leggere il Libro Tibetano dei morti per constatare di persona la povertà intellettuale del regista. Da dimenticare.



Abbinamento cinematografico di pregio per un film giapponese poco conosciuto che tratta il problematico tema del post mortem Wandafuru raifu del 1998, conosciuto con il titolo inglese di After life, un film di una delicatezza  inenarrabile, una gemma di inestimabile valore da consegnare solo agli occhi e al cuore di chi merita una tale visione. Se riuscite a reperirlo ne sarete ripagati in emozioni di purezza, malinconia ed ineluttabilità come poche volte accade con il cinema. 

Astenersi pipparoli della macchina da presa montata su braccio spiraleggiante motorizzato a getto continuo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non te ne sta bene una, perchè non smetti di andare al cinema?