giovedì 24 maggio 2018

L'arte della fuga

  • Giovedì 24 maggio 2018, in sala dal 31 maggio
  • Anteprima presso la sala cinematografica del Centro Culturale San Luigi di Francia, ore 10.30

Tratto da un best seller americano ma lavato nella Senna, L'art del la fugue si mantiene in bilico tra commedia familiare e malinconia, in una Parigi che resta in disparte ma concede generosamente il suo respiro.
E niente, solo i francesi riescono ad avere questa leggerezza, questo registro un po' frou-frou anche se sono infelici, insoddisfatti e irrisolti.
Tre fratelli (che curiosamente si somigliano anche un po') alle prese con due genitori molto presenti, per non dire invadenti.
Antoine è gaio ma la cosa non fa notizia, thanks God. E' annoiato dalla sua relazione decennale ma non sa come sganciarsene.
Louis, quello con un successo professionale più evidente, vive a Bruxelles e mette le corna alla fidanzata con Mathilde, un'Irene Jacob fisicamente cristallizzata ai tempi della doppia vita di Veronica.
Gérard, che sembra il fratello minore di Benicio del Toro, si è appena separato ed è distrutto ma troverà conforto nell'accoglienza di Ariel, Agnés Jaoui alla quale gli anni che passano regalano charme e disincanto.
Le loro vite sono un curioso miscuglio di intromissioni e confidenze svelate, nessuno sembra volersi guardare veramente dentro, tantomeno crescere emotivamente ma la Vita ha in serbo per ognuno di loro un evento catalizzatore, davanti al quale le decisioni che hanno sempre rimandato reclameranno una scelta.
Regia molto naturale e intimista che riesce a regalare dei ritratti veri e molto umani. Una bella sceneggiatura che non lascia punti oscuri e trae il suo meglio da cose dette a mezza bocca e verità taciute.
Epilogo che lascia ad ognuno di essere sé stesso, nel bene e nel male.
Un film piacevole che difficilmente deluderà lo spettatore in cerca di storie delicate ed esenti dalla minima volgarità.


Come non abbinare al Centro Culturale San Luigi di Francia, magnifica libreria e centro dove a Roma in pieno centro ci si può godere un angolo di Francia. In Largo Giuseppe Toniolo, 20-22,  tel 066802626

martedì 22 maggio 2018

Loro 1 e Loro 2

  • Entrambi visti al Moderno The Space di Piazza della Repubblica, in date diverse.
  • Loro 1, sabato 5 maggio 2018, spettacolo delle 20 circa
  • Loro 2 sabato 19 maggio 2018 , spettacolo delle 16.50
  • Entrambi visti con Il Ballestrero, che ha anche sponsorizzato la visione.
  • Prima un caffè da Eataly, sempre in Piazza della Repubblica.



Un'opera che mastica storia e realtà per risputarla Arte, se qualcosa resterà di questo Cinema, Loro resteranno sicuramente.
Regia impeccabile, con più di un momento da gridare al Miracolo, per l'intelligenza della scrittura (da Dio).
Un mix geniale di verità sofferta e volgarità gratuita, un puzzle di circa sessanta milioni di tessere rivestite di uno specchio in cui non è facile guardarsi.
Sorrentino riesce a mantenersi sul filo di molteplici generi, contenendo il registro pur ammantandosi di una patina spavalda e debordante. Emozioni sulle montagne russe, ci si indigna e un secondo dopo si ride amaro, poi ci sente spiazzati e infine, unicamente, la sofferenza.
Quello che colpisce più forte non è tanto il ritratto di Berlusconi ma il Loro, un teatrino dei poveretti disposti al macello (carne da). Gente disposta a svendere qualsiasi valore per pochi o molti euro euro.
Il surreale intessuto nella trama restituisce ritratti agghiaccianti, al limite del grottesco, piacerebbe pensare che sia fiction, piacerebbe.
Mentre il primo film si concentra su tutta una serie di arrampicatori sociali di varia estrazione, il secondo entra più nel contesto berlusconiamo, regalando scene capaci stare in piedi anche da sole, su tutte la telefonata per vendere l'appartamento.
E in effetti alla fine B. non esce nemmeno troppo male, fa quasi tenerezza questo guitto cresciuto a pane e prima repubblica, convinto veramente di poter fare qualunque cosa.
Comunque bravo Scamarcio nella parte del viscido, intensa la sofferta  Kasia Smutniak in quella della maitresse, eccezonale Servillo, con un doppio ruolo per di più.
Splendida la villa in Sardegna e menzione speciale alla pecora, il cui simbolismo mi è rimasto osuro, almeno quanto il comprendere chi sia veramente Berlusconi. E chi è Dio.

Abbinamento con il giardino della Landriana. 
Un posto magnifico che nasce dalla volonta di una persona di portare bellezza in un territorio che prima del suo arrivo era spoglio e arido. Una natura meravigliosa che riconcilia lo Spirito e con la possibilità di fare le cose al meglio.








lunedì 14 maggio 2018

Escobar, il fascino del male

  • Sabato 12 maggio 2018, UCI Cinema a Porta di Roma, sala 9 (piena)
  • Varia umanità vestita a festa
  • Non ho visto la serie TV su Escobar e dopo aver visto il film voglio istituire la “Giornata Mondiale per l’Intuito che ti salva dal guardare storie orrende”.



Viviamo in un mondo allo sfacelo, dove la gente pensa che tutti i problemi siano legati ai cinesi.
Al mercato, sulle bancarelle, ci sono abitucci da quattro soldi con fogli A4 con scritto “merce prodotta in Italia”.
Ci si lamenta del traffico, si esulta per la Maggica, quelli che amano i 5 stelle litigano con quelli che non amano i 5 stelle, sfondando i cojoni a chi dei 5 stelle non interessa una ceppa di minchia, il tutto senza mai alzare la testa da telefonino.
Questa l’ho sentita realmente nello spogliatoio della piscina, donna sulla cinquantina parlando con l’amica dice: “No, cioè, che poi si capisce che lui ci tiene a me… ogni sera mi manda un cuoricino..”.
Ci troviamo in un momento particolare, la civiltà umana non aveva mai toccato un punto così basso.

Lungi da me l’idea di fare una morale, che già oltre trenta anni fa un grafologo, studiando la mia scrittura, decretò “tu sei amorale”, però, cazzo, se l’arte resta l’unico baluardo a guardia delle mura di un castello dove sopravvivono la cultura,  il valore della verità e della bellezza, perché il Cinema che dovrebbe far parte di quel meraviglioso conglomerato dovrebbe mettere in scena Escobar?
Che poi già l'aveva fatto Benicio Del Toro, con i suoi occhietti abbottati.
Cosa abbiamo fatto di male per meritarci di vedere sullo schermo la bruttura di certe persone e delle loro malefatte?
Ebbene ce lo spiega il sottotitolo: il fascino del male.
Sì, c’è chi è affascinato dalla prevaricazione, dalla violenza e l’ignoranza. 

Brevemente, Escobar è un narcotrafficante colombiano che arriva ad accumulare una tale fortuna da essere più potente del governo (quello della Colombia però, non quello degli Stati Uniti).
Le vite degli altri per lui non hanno nessun significato, chiunque, secondo i suoi parametri, non gli porti rispetto viene giustiziato senza pietà. Le carneficine si susseguono ad un tale ritmo che alla fine non le conti più ma i cadaveri accatastati formano colline di svariati metri al di sopra del livello del mare. L’essere straricchissimo non gli impedisce di fare una vita di merda come l’ultimo dei baraccati, visto che è sempre in fuga e circondato da trogloditi, muore a 44 anni, crivellato di proiettili.
In Colombia (e tristemente non solo lì) è considerato un mito, un Robin Hood sudamericano, benefattore del popolo.
Povera gente, i morti, gli assassini, quelli che celebrano il mito, poveretti tutti, in un declino della civiltà inarrestabile.

E passo al film, prodotto da Javier Bardem che all’inizio pensi abbia operato una trasformazione come quella di Robert De Niro in Toro scatenato, mentre poi ti viene il dubbio che sia proprio così.
Non disdegna di farsi vedere a culo nudo.
Vi giuro, un culo che nessuno mai vorrebbe vedere nella vita né tantomeno avere possedere tra gambe e schiena.
Avendo visto la versione doppiata in italiano mi pregio anche di sottolineare, come ormai tristemente spesso accade, un doppiaggio biascicato che, quello sì, avrebbe meritato una pistolettata a bruciapelo sulla nuca.
Nel prodursi il film, fortemente voluto, Javier ovviamente si sceglie come coprotagonista la moglie Penelope Cruz, in una parte altrettanto di merda.
Penelope interpreta Virginia, l’amante di Escobar, tutta un gesticolare tra vestiti, gioielli e capelli coiffati che cambiano colore ad ogni scena, un troione di alto bordo che non ispira nessuna simpatia.
Primi piani sui denti, sulla bocca, sugli occhi sempre truccatissimi, te le fa vedere così bene che non puoi fare a meno di chiederti come sia veramente senza le ore al trucco.
Vabbè comunque alla fine Escobar muore ma non lo considero un spoiler, visto che stiamo parlando de 'n fijo de na mignotta realmente esistito.

Per inciso, non che la Colombia sia mai stata una delle mete nella mia wish list però sicuramente ora mi verrebbe voglia di cancellarla dalle rotte aeree del globo terracqueo. Insomma non è che gli hanno fatto un bel servizio a quel paese.
Detto ciò mi viene pure in mente che sarebbe possibile comparare Escobar, il fascino del male a Loro 1 e 2, di cui vi parlerò nei prossimi giorni.
Entrambi non sono solo film su di un personaggio aberrante ma sulla massa pronta a vendersi per pochi (o molti) soldi. Del resto mi rendo conto che i telefonini hanno il loro costo, che farsi laccare le unghie con il gel comporta una spesa, così come acquistare articoli su Amazon e, ora e sempre, forza maggica*.


*Forza Maggica è una mera esigenza di scrittura, del calcio non me ne è mai fregato un cazzo.

Abbinamento con una bella serie TV: TRUST, che si svolge anche in Italia, sul rapimento di Paul Getty III e il suo orecchio tagliato. Probabilmente ne parlerò in seguito.

sabato 14 aprile 2018

Ready Player One

Cinema Moderno di Piazza Esedra/della Repubblica.
Spettacolo delle 18.40, tipo 40 minuti di pubblicità, mortacci loro.
Il trailer degli Avengers ce l'hanno fatto vedere almeno tre volte.
Valga l'invito che più avanti gentilmente rivolgo a Steven Spielberg.



Al cinema gratis con il Ballestrero, che ha una convenzione aziendale.
A proposito qualcuno gli ha hackerato l'account e il suo blog è andato perduto come lacrime nella pioggia. Essendo lui una personcina a modo ha da parte tutti i suoi articoli ma al momento non ha né voglia né modo di rimettere in piedi tutto quanto. Ve lo saluto io, state tranquilli.



Quando ero piccola i fornai chiudevano il giovedì pomeriggio.
Era un bel fastidio se proprio in quel momento si aveva voglia di un pezzetto di pizza bianca.
Oggi non è più così, a qualsiasi ora del giorno e della notte puoi uscire e trovare qualcosa di aperto dove fare la spesa.

Non ho mai amato Spielberg, la sua scelta di piacere a tutti,  commerciale,  furbo, senza mai uscire dalle righe. Gli alieni per lui sono sempre e solo stati buoni, bruttini e rugosi ma buoni.
I dinosauri, un vero colpo basso, una serie di film talmente inutile che non merita di essere citata.

Ready Player One  invece è uno spettacolo magnifico e da un senso alla visione sul grande schermo, perché non c'è megaschermo che tenga di fronte alla moltitudini di universi rappresentati.

Chi decide tristemente di affidarsi ad una televisione, seppur enorme, dovrà accettare che le dimensioni contano e quelle di Ready Player One sono smisurate.

Nessun attore di grande richiamo, bel coraggio, che quando c'è la storia non hai bisogno di un Johnny Depp ormai posticcio e nella memoria comunque resteranno sempre più gli avatar digitali delle loro versioni umane.

A questo proposito vado un po' a curiosare tra i protagonisti.
Mi colpisce Mark Rylance, soprattutto per il doppiaggio orrendo.
Ho già detto che il il film è doppiato a cazzo? Mi sembra di no. Bè il film è doppiato a cazzo.
Per il doppiaggio valga l'invito che più avanti gentilmente rivolgo a Tarantino.

Insomma Mark Rylance vedo pure che è stato protagonista di un film dei fratelli Quay.
Bè andiamo a vedere. Cioè dopo quaranta minuti volevo andare a comprare un cilicio per riprendermi e mettermi un po' di buon umore.

Pur nell'appassionante visione comunque la memoria però non può evitare di andare a The Congress, un bel film del 2013 (da un lungo racconto di Stanislaw Lem) che in definitiva mette in scena esattamente la stessa sostanza, sebbene al posto del visore basti ingoiare una pillola.Meno citazioni e inseguimenti supersonici ma il dramma di una civiltà ridotta alla povertà e alla schiavitù fisica e intellettuale, in balia di un'illusione alla portata di tutti è proprio la stessa.

E di fronte alla fine di una civiltà è un tantino raccapricciante che la soluzione spielberghiana sia di chiudere al mondo virtuale il martedì e il giovedì, proprio come le panetterie degli anni '70.
Sì, vivete tranquilli una vita demmerda che tanto non avete altre possibilità, spacciatevi pure per qualcun altro ma non  il martedì  e il giovedì, no, in quei due giorni state a casuccia a farvi le coccole o a dare le capocciate al muro.

Io la butto là, come di consueto in maniera tenue e delicata... Ma mavvaffanculo Spielberg a te e a tre quarti della palazzina tua.
Cioé mi scomodi Parsifal e il Santo Graal, proponendomi pure letture a livelli più profondi e poi mi baratti tutto per due giorni di riposo settimanale?

E passo al vero problema di Ready Player One, le citazioni.
Le citazioni dovrebbero proibirle per legge. A Tarantino l'ergastolo.

Di quale pochezza siamo fatti per trarre il godimento principale nel vedere replicate immagini di film già visti, di personaggi che conosciamo a memoria?
Impossibile stare dietro a tutte le citazioni di Ready Player One, impossibile.
E quindi tutti a cercarle, ad elencarle, con la luce negli occhi e nel cuore, come se il Cinema fosse morto e si cibasse di sé stesso.
E noi spettatori a mangiare avanzi felici e contenti, con tanta soddisfazione.
Chiedo troppo a volere un'idea nuova, mentre stanno facendo il remake di Matrix?

Oh però, cazzo bisogna dirlo, Ready Player One è fico che più fico non si può e ci si diverte un mondo.
Quindi lo consiglio vivamente.
Ma evitate di andarci il martedì e il giovedì, potreste avere un'amara sorpresa.

Doveroso l'abbinamento cinematografico con The Congress, un film che praticamente non si è filato nessuno e che invece è molto interessante. A me è piaciuto molto. Esticazzi, direte voi...

giovedì 29 marzo 2018

Egon Schiele: Tod und Mädchen, recensione in due tempi con digressione sull'arte ai tempi di Facebook e una considerazione su Kevin Spacey

Recensione in due tempi.
Il primo tempo l'ho scritto appena visto il film (luglio 2017).
Il secondo tempo l'ho scritto in questo momento, nel 2018.



Visto al Forum di Cultura Austriaco in Viale Bruno Buozzi che di per sé è già un bel vedere.
Incontro con il regista e la sceneggiatrice prima della proiezione.
Fila lunghissima per entrare e controllo con il metal detector.
Per accedere al giardino passaggio per la splendida biblioteca, con mobili e lampade d'epoca.

Primo tempo
Parliamoci chiaro, se vi andate a vedere le foto del vero Egon Schiele vi ricorderà una specie di Mr. Bean d'epoca, se invece guardate il film scoprirete che l'interprete, Noah Saavedra, è decisamente interessante, tanto che per tutto il tempo mi sono chiesta perché avessero invitato il regista e la sceneggiatrice quando potevano farci trovare l'attore, che magari aveva un debole per le donne mature e procaci e non si sa mai, a Roma, in una sera d'estate.


Diciamo che è sempre interessante gettare uno sguardo sulla possibile vita privata di un'artista, anzi di due artisti, perché qui c'è anche un po' di Klimt oltre che Schiele.
Il problema nasce quando al di là dell'immensa produzione artistica ti trovi di fronte un personaggio discutibile sul piano umano. Ci si interroga su come sia possibile che la modernità dell'opera e l'espressione spregiudicata del tratto scavato e spigoloso non corrispondano ad un vivere altrettanto spavaldo. Si scopre che Egon fa delle scelte personali dettate da puro interesse economico, ha tendenze incestuose e probabilmente anche derive pedofile ma cosa più teribile mette in secondo piano i sentimenti e la sua amante/modella Wally Neuzil. per un volgare matrimonietto di interesse.
Insomma va a finire che Schiele ti sta un po' sul cazzo e anche Klimt non ne esce bene del tutto.
Per il resto forse è poco credibile l'atmosfera alla Tutti insieme appassionatamente in un'Austria prebellica che sembra godere del clima della costiera amalfitana.

Secondo tempo
Penso al povero Kevin Spacey, che per aver approcciato in maniera un po' decisa un ragazzo, di cui non si ricorda nemmeno più, l'hanno addirittura tolto di peso da Tuttii soldi del mondo, in cui interpretava il tirchio Paul Getty, colui che non volle scucire un dollaro per il riscatto del nipote.
E a quel nipote gli tagliarono un orecchio, un atto atroce che resta uno degli incubi della mia infanzia.
Ebbene, dicevo, hanno preso tutte le scene in cui c'era Kevin Spacey e le hanno fatte rigirare a Christopher Plummer (che molti anni prima aveva interpretato Tutti insieme appassionatamente).
E non solo, vogliono pure continuare House of Cards senza di lui  (senza nemmeno sostituirlo con Christopher Plummer).
Quanta ipocrisia, povero Kevin, mentre le vicende private di Schiele sono dimenticate e i suoi quadri sono in tutti i musei.

Digressione sull'arte ai tempi di Facebook
I quadri di Schiele... Schiele piace a tutti.
Sputtanati i girasoli di Van Gogh, che li abbiamo visti ovunque, dai calendari ai tappetini per il mouse e alle piastrelle della cucina, avendone piene le tasche dei baci e degli alberi della vita di Klimt con la foglia d'oro a fare da sfondo, per qualche strano motivo Schiele piace a tutti.
Non le ninfee di Monet o la non pipa di Magritte ma i nudi di Schiele trovano spazio nella rosa degli artisti preferiti del radical chic d'ordinanza.
Diciamo la verità, dichiarare di adorare Schiele ha la doppia valenza di farci sentire un po' tutti degli intenditori di arte sopraffini e anche di provare quel brivido di riconoscersi nel tormento del sublime.
E invece tiè! Schiele è un borghese egocentrico.
Detto ciò il film è uscito di straforo in qualche cineclub. Tutti, su Facebook, a condividere l'evento ma alla fine credo non ci sia andato nessuno a vederlo.
Viviamo davvero in un'epoca particolare.

Considerazione su Kevin Spacey
Secondo me Kevin Spacey se lo ricorda benissimo il tizio che ha sbattuto sul letto in maniera un po' diretta ma di fronte a questa denuncia tardiva si è tolto lo sfizio di farlo sentire una nullità, dichiarando di non ricordare nemmeno chi fosse.
Sì, denunciami pure, toglietemi Tutti i soldi del mondo, toglietemi pure House of Cards, but I'm sorry babe, I dont even know who you are.
Un grande.

Abbinamento floreale e decisamente stagionale con il parco Tulipark, in Via della Giustiniana, alle porte di Roma, che nei prossimi giorni fiorirà con ben duecntomila tulipani. Io ci andrò sicuramente!


lunedì 26 febbraio 2018

Il filo nascosto


 


ATTENZIONE SPOILERONE MAGNO CUM GAUDIO

Inizia bene il filo nascosto, una qualità di cinema superiore, sembra un film in bianco e nero e invece è a colori ma suadenti, tone sur tone.
C'è l'eleganza, la precisione nei gesti, negli sguardi, c'è il recupero pure dell'alta sartoria in un'epoca di industria cinese al ribasso.
Oggi diremmo che lui è uno stilista ma in realtà il personaggio interpretato da Daniel Day Lewis non ha frequentato l'Istituto Europeo per il Design, si è formato con ago, filo e passione forgiata da un lavoro duro e metodico.
Creare abiti è diventata una missione e un rifugio. Gli abiti a dire il vero sono brutti un colpo, non hanno nessun fascino, sono i prodotti di un artigiano eccezionale ed è impossibile infatti non rilevare che Mr. Woodcock sia quanto di più lontano ci possa essere da Valentino.

Ma vi racconto la storia, che è cosa assai  curiosa.
Mr. Woodcock che in italiano dobbiamo inevitabilmente tradurre con Signor Cazzodilegno (e avrei tanta voglia i chiedere a Paul Thomas Anderson cosa l'abbia spinto a scegliere questo cognome così specifico) si invaghisce di una cameriera che esteticamente sembra avere lo stesso pudore di una Joan Fontaine dei bei tempi. La ragazza non ci pensa due volte a lasciare la sua promettente carriera e a diventare la sua amante.
Amante... che sia l'amante lo intuiamo, perché proprio come in un film degli anni 50 non ci è dato mai sapere cosa accade veramente oltre la porta della camera da letto.
Possiamo solo immaginare.
E cosa immagina il Cinefilante, con la sua fervida fantasia?
Non mi immagino niente.
Il signor Cazzodilegno è quanto ci sia di più noioso sulla faccia di questa terra, oltre che petulante e isterico. Lei di contro è una scopa secca (da ora in avanti la chiamerò così) perennemente spettinata. Carica erotica tra i due protagonisti vicina allo zero assoluto, che ricordo essere - 273,15 gradi.

Ma dai, almeno ci sarà un'intesa intellettuale tra Cazzodilegno e Scopasecca?
No, manco pe' gnente, evidentemente l'unica cosa che hanno in comune è il legno, presente sia nel cazzo che nel manico della scopa.
Cazzodilegno dopo un po' si stufa ed è allora che Scopasecca prende sorprendentemente in mano la situazione, con gran stupore  dello spettatore che al massimo si aspetta un suicidio. 
Insomma Scopasecca va a raccogliere i funghi e gli prepara una zuppetta avvelenata.
Il sapiente dosaggio del fungo velenoso è calibrato non per una risoluzione definitiva bensì per per dolori atroci, ingestibile vomito e cacarella, brividi e dolori atroci.
Scopasecca asciuga il sudore sulla fronte di Cazzodilegno, lo accudisce come una badante consumata e lui come un omuncolo di mezza età, che necessita pù di personale di servizio che di una compagna, la sposa.
Poco tempo dopo però si rompe i cojoni un'altra volta ma Scopasecca è lì pronta con altri funghi.
Questa volta lui capirà il gioco perverso ma vi si sottometterà volentieri in nome della follia di entrambi.

Ma per amor del cielo, no Paul, no, proprio non ci siamo.

Sì lo so, non ho parlato del rapporto con la madre morta, del rapporto con la sorella complice e istigatrice, del filo nascosto, della splendida colonna sonora, di tutto il pippone sull'inversione dei ruoli tra schiavo e padrone... ma di fronte a tanta critica iperbolica non sapete il gusto di ridurre tutto alla strana storia di
Cazzodilegno e Scopasecca.

E arrivo pure a Daniel Day Lewis, bravissimo per carità, ma ci sta sfiancando da anni con questa storia che non vuole più recitare. Per me comunque resta sempre il tipo che lasciò tramite fax Isabelle Adjani, incinta di pochi mesi di loro figlio.

Doveva essere il cinema con "C" maiuscola, doveva riscattare tanta immondizia commerciale, mettere fine alle guerre e portare la pace nel mondo...  E invece la magnificenza della regia, la cura maniacale del dettaglio, la confezione simile a quella che Cazzodilegno dedica alla fattura delle sue creazioni si riduce a 50 sfumature di grigio estremo.


Abbinamento cinematografico con La ragazza del peccato, di Claude Autant-Lara del 1958 con una giovane Brigitte Bardot e un dolente Jean Gabin, due volti che meglio avrei visto (giocando al Fantacasting) nei ruoli dei due protagonisti de Il filo nascosto. Da recuperare.

martedì 5 dicembre 2017

Riccardo va all'inferno


Giovedì 16 novembre, ore 21.00
Casa del Cinema a Villa Borghese, proiezione di cortesia con embargo


 

Divertente questa cosa dell'embargo, vedi il film ma non ne puoi parlare ufficialmente sui social media fino al 27 novembre.
Firmi una liberatoria che se vieni meno all'impegno Roberta Torre in persona viene sotto casa tua e sotto la finestra del salotto ti urla li meglio mortacci tua.
Prendo molto seriamente la cosa ma il giorno dopo c'è un articolo di tipo 76 pagine su La Repubblica.
Non oso immaginare le rimostranze.
Fatto sta che poi io il 27 avevo parecchie cose da fare e mi sono ritrovata oggi che è il 5 dicembre, che ancora non ne avevo parlato.
Vengo al film, dunque!
...Piaciuto moltissimo, visionario, struggente come solo Shakespeare sa essere, onirico e psichedelico e che Massimo Ranieri si sentisse a suo agio con la psichedelia lo sapevamo, visto che già nel 1971 cantava Erba di casa mia. Volto meraviglioso che si da completamente alla macchina da presa e non da meno sono tutti altri, Sonia Bergamasco e Silvia Gallerano, fantastiche, fantasmagoriche.
Splendide anche le musiche, non a caso di Mauro Pagani, ma quello che colpisce veramente lo sguardo dello spettatore è la capacità della regista di fare un gran cinema con trovate sfavillanti, eccessive e affascinanti. La luce è grande protagonista di questo film, dove ogni sfaccettatura brilla e si riflette, creando un mondo a sè stante. Poco importa se distrattamente si cita il Tiburtino Terzo, non c'è una vera romanità a caratterizzare la storia, anzi direi che fortunatamente si va oltre oltre qualsiasi provincialismo per entrare in una dimensione universale.
Un corpo di ballo strepitoso, aggiunge lustro e decoro a molte sequenze.
Si pensa a Jeunet e Caro e al Rocky Horror, a certe cose di Julie Taymor e inevitabilmente anche a Baz Luhrmann (e anche alle differenze di budget che però non penalizzano questo Riccardo).
Roberta Torre dirige con grande personalità la piece shakesperiana, la veste e  la sveste, si diverte, ci ricama sopra, scova e scava i volti ma predilige le maschere.
Un film magari non per tutti ma per chiunque voglia ancora godere della magia del grande schermo e di tuffarsi in un cinema di grande potenza evocativa.
Grande dispendio di costumi, cerone, manicure e smalto per le unghie.
Io lo do come privilegiatissimo per rappresentare l'Italia agli Oscar. Vediamo un po'....

Oggi abbino a questo bel film un posto che ho scoperto poco tempo fa a Trastevere. Un posto che defiire una bottega di ceramiche sarebbe veramente riduttivo e erroneo perché si tratta di molto altro.
Fatevi un gitro da Studio Forme.